Unisci i puntini e diventa chi vuoi.

Qualche settimana fa una delle persone a cui voglio più bene e che vive a km di distanza da me, mi ha raccontato del momento difficile che sta attraversando. Gran parte delle emozioni che sta vivendo le ho già vissute molti anni fa. È pazzesco quanto il nostro cervello sia in grado di colorare i ricordi e addolcire il dolore vissuto in passato. Oggi, guardando indietro, non riesco a percepire lo stesso malessere che provai allora. Ricordo perfettamente però tutto quello che ho imparato e, come posso, mi appresto a ripeterlo a chi voglio bene.

Dopotutto diventiamo gli “insegnanti” di ciò che più abbiamo bisogno di apprendere. Raccontiamo continuamente le nostre esperienze formative alla perfezione come i testi delle canzoni del cuore. La ripetizione diventa un fantastico promemoria quotidiano per noi stessi. Certo è che non bisogna rischiare di diventare dei fantastici e petulanti “Mr. o Mrs So Tutto Io”. Quando una persona sta soffrendo non vuole sentirsi dire per tutto il tempo cosa fare. Vuole essere supportata, compresa, ascoltata e accompagnata in tutto il processo di guarigione.

Mi è tornato in mente il mantra di Richard Branson che ho ritrovato alcuni mesi fa nel libro di Netflix:

Always be connecting the dots.

Unisci i puntini. Adoro questa frase. Riesce a racchiudere tutto quello che dovremmo fare in ogni situazione della vita in maniera semplice ed immediata.

Se ripenso a tutte le volte che ho vissuto un momento difficile ritrovo sempre le stesse tre fasi.

  1. Lo stordimento. È successo l’inimmaginabile. Non sai se sia vero o se si tratti solo di un brutto sogno. Ti chiedi perché sia accaduto a te. Nella testa c’è un gran confusione e tutto ciò che vorresti è solo fermare il mondo, scendere un attimo e mandare tutti a quel paese. Non puoi farlo, perciò inizi a muoverti a tentoni cercando di non cadere mentre aspetti che le vertigini passino.
  2. Lo sfinimento. Ti rendi conto che è tutto vero. Ti senti a pezzi perché stai combattendo contro le emozioni negative che ti stanno letteralmente sovrastando. Io in questa fase di solito non ho appetito e lo sfinimento è fisico e mentale.
  3. La risalita. Dopo le prime due fasi, che nel corso degli anni ho imparato a renderle piuttosto veloci, prendo possesso di nuovo della mia esistenza ed inizio ad unire i puntini. Definisco il piano di rientro. Chiudere le uscite superflue, reintegrare le perdite, risolvere gli imprevisti e stabilire gli obiettivi del breve-medio periodo davanti a me.

Detto così può sembrare che io sia un robot. Ho sperato di diventarlo tante volte per non sorbirmi tutta la parte emotiva che inevitabilmente rallenta ogni processo di guarigione ma non è mai successo. Ogni volta mi sono sorbita il pippone drammatico che tocca un po’ a tutti. La mia grande empatia si è bilanciata negli anni con la mia passione per l’organizzazione, l’ordine e il senso pratico. Non è che tutti i giorni vivo nel perfetto bilanciamento dell’universo, mi prodigo affinché sia il più possibile così con grande impegno.

Ognuno di noi cresce diversamente e in maniera direttamente proporzionale alle esperienze che ha vissuto. Soprattutto quelle negative. L’elemento che ci rende unici è il carattere. Il carattere e la crescita sono strettamente collegati. Un’esperienza lavorativa, ad esempio, non ci fa maturare solo sul lavoro ma in tutti gli ambiti della vita. Prima ci predisponiamo a superare un momento difficile, prima matureremo e saremo in grado di superarlo. Molte volte commettiamo l’errore di crogiolarci nella convinzione che la realtà sia solo una. La realtà la creiamo noi ogni giorno con le nostre scelte. Non siamo i nostri genitori, non siamo l’idea che chi non ci conosce a sufficienza ha di noi. Possiamo diventare ogni giorno chi davvero desideriamo di essere. Come? Con il coraggio. Il coraggio di connetterci ai nostri desideri più profondi, che spesso lasciamo marcire nei meandri della nostra anima.

Quando ci accade qualcosa di negativo pensiamo di non meritarlo, ci sentiamo frustrati e arrabbiati. La verità è che una volta superata la fase dello stordimento tutte queste emozioni vanno accettate ed ascoltate. Le risposte saranno quelle che ci consentiranno di risalire ed unire i puntini della nuova versione pro di noi stessi.

Fabrizia

Instagram. Errori e dolori dei social media manager.

Instagram fa parte della nostra quotidianità da diversi anni ormai. Lanciata nel 2010, dopo due anni questa app era già nella scuderia Zuckerberg. Il suo successo è stato eclatante conquistando 10 milioni di utenti in un solo anno.

Sembra ieri vero? E invece sono passati 10 anni. Cosa abbiamo imparato in questo lungo periodo? Purtroppo ancora troppo poco. 

Sui profili personali è inutile dilungarsi. Ciò che è davvero inconcepibile, nella stragrande maggioranza dei casi, è la “strategia” adottata per gestire gli account business. 

Ogni volta che mi viene conferito l’accesso ad un account IG già esistente so che stanno per arrivare i dolori. Questi account sono tutti uguali. Non superano i 500/1000 follower e ne seguono dai 2500 ai 5500. 

Analizzando i following mi rendo conto che i profili seguiti si distinguono in tre categorie:

  • amici degli ex gestori delle pagine;
  • profili a caso (semi vip e ragazze un po’ svestite);
  • account, da me definiti, immondizia (fake – attivazione bot).

Analizziamo questi tre punti e facciamo un confronto tra le aspettative e il risultato (Instagram vs Realtà!).

Se pensate che seguire i vostri amici IG possa essere un buon modo per fare pubblicità al profilo del vostro cliente vi sbagliate. Il 94% di questi “amici” non ricambiano il following e non sono interessati affatto al brand. In questo modo il vostro profilo ha un’immagine equivalente a quella del porta a porta. Se invece lo fate per far crescere i profili dei vostri amici avete probabilmente sbagliato impiego.

Seguite gente “vip” o semi-famosa (che magari ha pure comprato follower) pensando che possano investire nel vostro brand? Ebbene anche qui vi sbagliate. State solo fomentando il loro ego e il vostro profilo avrà una patina un po’ nerd.

Last but not least l’attivazione dei bot che vi procurerà non solo un rimpinguo di profili arabi/turchi/tunisini finti come i soldi del monopoli; vi assicurerà anche uno squilibrio così forte dell’algoritmo che IG vi penalizzerà nascondendo ancora di più il vostro account. Lo squilibrio riguarda anche chi decide di acquistare follower. Instagram lo sa che state acquistando una finta visibilità con strumenti non consentiti.

Che disastro eh? E non vi dico che rottura prendere in mano questi profili.

La corsa ai follower non va davvero più di moda. La strategia giusta da adottare su Instagram per avere un profilo performante è lavorare sul target di riferimento del brand per consolidare ed ampliare il proprio pubblico. Utilizzare gli hashtag, investire con Instagram Ads, intrattenere relazioni di valore, approcciare all’influencer marketing. Avere un profilo che segue di tutto e di più risulta anche un po’ una cosa da sfigati e conferisce poca credibilità.

Significato di performante: generare conversioni a prescindere dal numero di follower!

 

Fabrizia

 

Guida definitiva alla gestione dei commenti negativi sui social network

Sui social network, come nella vita quotidiana, ognuno esprime la sua opinione. La differenza sta nel fatto che, se spesso nella vita di tutti i giorni ci si pone un limite nell’andare in giro a giudicare e criticare gli altri apertamente, sui social network si lanciano delle vere e proprie bombe capaci di generare problemi di diversa portata a tutti coloro che gestiscono le pagine aziendali. Ad esempio la perdita di tempo, il nervosismo crescente e il rischio di mettere a repentaglio l’immagine del brand creando vere e proprie colonie di haters.

L’interazione sui social network non implica un contatto visivo e quindi rende più semplice dare voce alle proprie emozioni negative. Nel 90% dei casi i commenti negativi non provengono da un’esperienza diretta con il brand, si basano su critiche volte a dare sfogo alla propria frustrazione. Senza focalizzarci troppo sui motivi per cui la gente sia così frustrata, cerchiamo di capire come comportarci in questi casi lasciando la psicologia a chi l’ha studiata.

Quante volte su TripAdvisor abbiamo letto recensioni pazzesche di un ristorante che poi abbiamo provato ma non ci è piaciuto? O quante volte è accaduto il contrario? I gusti sono personali e le frustrazioni anche.

L’interazione sui social network serve a: informare, interagire e supportare. Tutto il resto deve avere poco a che fare con le vostre pagine aziendali. Quindi quali sono i concetti chiave della guida definitiva alla gestione dei commenti negativi sui social network? La risposta (più breve del titolo) probabilmente vi stupirà: CANCELLARE o/e BLOCCARE.

Fa tutto qui? Si, mi dispiace deludervi. Se vi aspettavate un articolo da cui prendere appunti mettete penne e smartphone da parte.

Se mi aveste chiesto un anno fa come dover affrontare questa situazione vi avrei risposto che i commenti negativi non si cancellano mai. Che un brand deve essere capace di affrontare le critiche, che deve riuscire a spiegare la propria politica aziendale e che deve essere sempre accomodante. Nell’ultimo anno l’advertising è cambiato, si è evoluto. Tutto è diventato più veloce anche nella quotidianità. I commenti degli haters devono restare nel passato. Non possono evolversi con noi. Non hanno senso e motivo di esistere e noi non dobbiamo dargli spazio. Ho tentato innumerevoli volte di rispondere agli insulti. Non è mai servito a nulla. Ho capito che queste persone hanno nella loro to do list giornaliera rompere le scatole come attività primaria.

Se un commento sta esclusivamente insultando il vostro lavoro non fatevi problemi a cancellarlo. Queste persone non fanno parte del vostro target di riferimento. Molto spesso sono profili con nomi e foto improbabili e quindi fake che per nascondere la loro frustrazione nascondono anche la loro faccia. Non vogliono conoscere la vostra storia, tantomeno acquistare i vostri prodotti. Vogliono solo sfogarsi. Un po’ come quelli che passano le giornate a scrivere sulla pagina di Chiara Ferragni che i suoi piedi sono brutti. Quando il commento supera davvero ogni limite perché utilizza anche parolacce bloccate direttamente. Lasciarli fare vuol dire dare modo ai loro simili di accodarsi e creare una vera e propria rete di haters che si trastullano sulla vostra pagina insultandovi di continuo.

Piccolo consiglio: se avete utilizzato l’obiettivo “interazione” per una campagna social, sappiate che la quasi totalità di coloro che interagiscono con like, commenti e condivisioni non sono compratori.

Come dico sempre “non sono i like che vi fanno vendere”. 

Diverso è il caso in cui un vostro cliente ha avuto un’esperienza negativa con il brand. In quel caso il customer service è fondamentale. La strategia sarà: aprire un dialogo, scusarsi e intraprendere un’azione offline per risolvere il problema. Ogni volta che perdete tempo a rispondere gentilmente ad un commento negativo che invece ha come unico scopo quello di insultare sappiate che togliete tempo a definire un obiettivo più importante. 

Teniamo sempre a mente quanto il 2020 ci abbia messo a dura prova facendoci comprendere l’importanza del nostro tempo e di chi ci circonda. Fare pulizia è un dovere morale. Anche sui social network.

Fabrizia

 

Cambio stagione, cambio strategia!

Aria di primavera e di cambio armadio! La bella stagione si avvicina e con lei una nuova strategia. E cosa si fa della vecchia strategia? Esattamente quello che si fa con i vestiti invernali. Si decide cosa tenere per la prossima stagione e cosa dar via. Cambiare però non vuol dire buttar via la nostra vecchia identità. Tra i vari maglioni ripiegati e lavati c’è lo stile che ci ha rappresentato fino ad oggi. Ed è da quello che ripartiamo per definire il nostro look primavera/estate.

Cosa accade sui social? Se siamo stati bravi ad osservare il mercato, ad ascoltare i nostri clienti, a percepire i bisogni dei consumatori siamo già a buon punto perché sappiamo in che direzione muoverci. Se poi abbiamo anche analizzato i dati ottenuti, fissato gli obiettivi raggiunti finora abbiamo già il 70% del nostro planning strategico in mente. Complimenti!

Sarebbe bello poter definire la strategia digitale integrata di un intero anno a novembre ma purtroppo il lavoro è soggetto ad imprevisti, a cambiamenti e altri elementi aleatori che nessun digital strategist può prevedere. Tutti questi elementi rappresentano il 30% che manca alla definizione del nostro planning.

L’evoluzione dei social network, le abitudini dei consumatori, i mutamenti del mercato di riferimento, l’ingresso di nuovi competitor nel nostro settore sono in continuo movimento. Si possono paragonare a quel compleanno che magari avevamo dimenticato nel mezzo di giugno, o a un invito inaspettato a cena fuori, ad una gita in barca non prevista e così via. Ed in quel momento guardi l’armadio e pensi: “e adesso che mi metto?”. È li che bisogna saper prendere una decisione pragmatica e veloce che ci consenta di avere l’outfit giusto sentendoci a proprio agio in una situazione che non avevamo previsto.

Ultimamente sto notando una maggiore apertura mentale e un maggiore interesse per le attività digitali. Le attività, anche se locali, hanno voglia di emergere attraverso i social network. Tutto ciò mi rende molto felice. C’è aria di primavera e di cambiamento anche in quelle attività che fino a solo un anno fa erano spaventate dall’intraprendere una strategia digitale, o peggio, avevano avuto una brutta esperienza con qualche agenzia.

Nella comunicazione la cosa più importante è ascoltare ciò che non viene detto. Peter Drucker.

In Italia non siamo così bravi ad ascoltare, diciamoci la verità. Ho avuto diversi feedback negativi sul mio settore nel corso degli anni. Perché? Perché bisogna essere in grado di dare spiegazioni dettagliate, di rispettare volontà e tempistiche, di dimostrare professionalità e di conoscere bene i propri strumenti di lavoro. Bisogna portare risultati prima per i propri clienti e poi per se stessi. E tutto questo può accadere solo se siamo disposti ad ascoltare non solo con le orecchie.

Avere una pagina Facebook non vuol dire avere una strategia così come bere tanti caffè non vuol dire essere svegli 🙃

Avere una strategia vuol dire saper decidere cosa fare anche quando per strada si incontrano molti bivi. Una strategia è il paracadute che ti consente un atterraggio morbido che limiti i danni e ti consenta di continuare a camminare con le tue gambe. Che si tratti della tua attività o di un invito inaspettato a cena fuori! 😜

La mia strategia personale l’ho chiamata VPA. VISUALIZZA, PIANIFICA e AGISCI. È il modello standard che definisce uno schema da seguire e che si può adattare e personalizzare in ogni situazione. Ma di questo ne parliamo la prossima volta 😉

Fabrizia

L’universo ama la velocità.

Durante il secondo anno di università frequentai un corso davvero interessante. In ogni lezione, il nostro professore veneto, ci raccontava un aneddoto. Ogni storia aveva un duplice obiettivo: spronarci a riflettere da un lato e ispirarci dall’altro. Furono le prime vere e proprie lezioni motivazionali a cui partecipai. E fu proprio in una di queste lezioni che si palesò ai miei occhi il primo libro di carattere motivazionale che divenne poi la base del mio pensiero attuale. (Questa storia ve la racconto un’altra volta però). Alla metà di ogni lezione dovevamo scrivere un breve racconto personale in cui descrivevamo una situazione simile all’aneddoto raccontato. La similitudine non stava nei dettagli ma bensì nella morale con cui si concludeva la storia.

Era un modo per fare luce su tanti aspetti della propria vita. In una delle 8 lezioni, il professore, si focalizzò sui tempi di reazione del nostro cervello agli eventi negativi che viviamo nel corso della nostra vita. Quando ricordiamo un evento negativo passato non percepiamo mai la stessa intensità dei sentimenti che abbiamo vissuto all’epoca. Ci appare sempre migliore. Perché? Perché il nostro cervello con il passare del tempo aziona un meccanismo che ci consente di “zuccherare” i ricordi. È qualcosa che accade in automatico (per fortuna) e che avviene in media in 4/5 anni. Bene. Il prof ci spronava ad accelerare questo processo.

Con il passare del tempo ho definito un mio metodo per imparare a vivere bene anche i blue monday (e tutti gli altri day della settimana) in modo da trarvi beneficio. La maggior parte delle volte ci sentiamo giù per per i motivi più banali. Una serie di eventi che si accumulano e ci portano ad essere negativi. Personalmente, sono il tipo di persona che davanti ad un problema complesso o grave, tace e agisce. Davanti ai piccoli inconvenienti impazzisco. Perdo la pazienza perché sento di perdere tempo.

Quando ho una giornata no inizio a pensare a tutte le cose che mi hanno fatto cambiare umore, mi immergo con loro in una vasca. Le lascio libere di circolare e le analizzo. Le analizzo fino a quando il paragone tra loro e il quadro generale della vita crea un divario così grande che alla fine mi viene da ridere. Nel momento esatto in cui scoppio in una risata so che sono riuscita a mettere tutte quelle sensazioni sgradevoli in una libreria. Sono in piedi, davanti a loro. Le guardo li, ferme ed ordinate e mi sento di nuovo padrona del mio umore. Ora sono più semplici da affrontare e gestire.

Adoro questa frase:

L’universo ama la velocità.

Già. L’universo ascolta tutti i nostri desideri indistintamente. Non fa differenza tra i positivi e i negativi. Semplicemente ci fornisce ciò di cui abbiamo bisogno man mano che lo chiediamo. Nel lasso di tempo in cui ci immergiamo tra le sensazioni negative, le lasciamo libere di esprimere ciò che vogliono comunicarci. Affrontandole in fretta diventiamo più consapevoli, più lucidi, nel decifrare il loro messaggio.

Spesso ci risulta difficile confrontarci con ciò che non va perché sentiamo di aver fallito o perché temiamo di fallire. Eppure ce lo dicono da piccoli che “sbagliando si impara” ma cresciamo comunque con il terrore di sbagliare. Ho iniziato la mia attività da poco. La mia predisposizione al controllo è aumentata rispetto a quando lavoravo per gli altri. Faccio test su test, per ogni mia campagna pubblicitaria. Potevo nascere con l’istinto di crocerossina nei confronti degli uomini. E invece no. Io ho l’istinto di crocerossina nei confronti del mio lavoro. Devo sempre risolvere tutto ciò che non va e, se tutto va bene, devo migliorare. Nonostante tutti questi bei propositi so che non tutte le campagne social possono essere un successo. Quali sono i fattori di successo di una campagna? La grafica, il copy, l’esperienza della landing page dopo aver cliccato sulla call to action? Certo ma c’è e ci sarà sempre una variabile che può diminuire la sua riuscita. C’è solo un modo per sbagliare meno, ed è fare di più.

Perciò restare troppo tempo fermi a crogiolarsi non porterà mai ad una soluzione. Tantomeno non porterà ad una soluzione ascoltare i pareri, spesso inutili, altrui. Chiudo con un’altra delle mie frasi preferite:

Se il progetto che avete in mente è giusto e ci credete veramente, andate avanti per la vostra strada e portatelo a termine. Non fate caso a quello che dicono “gli altri” se incontrate una sconfitta temporanea. “Loro” non sono sanno che ogni fallimento porta con sé il seme di un successo equivalente. Napoleon Hill.

Fabrizia

Le keywords sono nel nostro background.

Quante volte ci hanno detto: “la mela non cade mai lontano dall’albero”? Siamo tutti destinati ad essere ciò che le nostre famiglie sono state quindi nel bene e nel male?

Personalmente non sono d’accordo. Ho basato tutta la mia vita sul principio opposto. Io non sono la mia famiglia e non voglio esserlo. Ho avuto una famiglia in cui si comunicava poco e male e io ho deciso di lavorare nella comunicazione. La mia famiglia mi ha insegnato moltissime cose, spesso non con il sorriso e sotto forma di trauma ma ho avuto la fortuna di averla perciò ho deciso di imparare a gestirla il prima possibile.

Il background in cui ero immersa da piccola era troppo lontano dai mondi che volevo esplorare, dalle cose che volevo sperimentare ed imparare. Perciò ho dovuto faticare molto per riuscire a scorgere orizzonti più colorati e a 15 anni ho iniziato con molta caparbietà il mio percorso da bastian contrario. Dopo i classici atteggiamenti di ribellione, che vi risparmio, ho capito che tipo di persona volevo essere e ho iniziato a costruire Fabrizia senza il peso del suo cognome. Ci sono voluti anni per scindere le emozioni provate dal mio essere. Per venire fuori da certe abitudini. Per capire cosa tenere e cosa cambiare. Più vuoi estraniarti dall’ambiente in cui sei cresciuto e più devi impegnarti.

È un percorso dinamico che dura tutta una vita, cresce e si modifica con te. Una delle frasi migliori per motivarsi durante questo percorso l’ho sentita in una delle mie serie preferite, Bojack Horseman:

“Poi è più facile. Ogni giorno diventa più facile. Ma devi farlo tutti i giorni. Questo è difficile. Poi diventa più facile.”

👉🏼 https://www.youtube.com/watch?v=pFJ6q7OsFGQ

Man mano che vai avanti, acquisisci la consapevolezza di chi sei e finalmente comprendi una delle lezioni più importanti di tutta la tua vita. Tutto ciò che vuoi essere è scritto proprio nel tuo background. Solo esplorando da dove vieni, dove hai vissuto, quali emozioni hai provato, sarai in grado di capire chi vuoi essere. Non importa quanti malcontenti, ansie e paure hai dovuto affrontare. Ognuna di loro ti ha portato a costruire consapevolmente una parte del tuo essere.

Fa cosa c’entra tutto questo con il web marketing? C’entra.

Ogni attività che vuole imparare a comunicare deve definire la sua identità e per farlo deve ricercare le motivazioni che l’hanno spinta ad affacciarsi sul mercato. Il posizionamento strategico dipende dalla conoscenza che si ha dei propri punti di forza e debolezza. Le parole chiave sono insite nella trama della nostra storia.

Non possiamo decidere dove nascere ma possiamo scegliere di non accontentarci dello schema che ci viene proposto. 🙂

Fabrizia

L’emozione sta negli occhi di chi clicca.

Le emozioni nascono in due modi.

Quando scatta un ricordo nella nostra mente o quando accade qualcosa di inaspettato. 

Sorridere davanti a vecchie foto, arrossire per una sorpresa, ritrovarsi con gli occhi pieni di lacrime quando raggiungiamo un risultato importante. Certo, non c’è solo il lato romantico delle emozioni. Vi sono anche emozioni che nascono dal riaffiorare di ricordi tristi. Reagire d’impulso quando ci sentiamo attaccati perché crediamo di rivivere un’esperienza passata che ci ha feriti. Sentirsi sopraffatti dalla delusione quando non ci sentiamo compresi.

Io mi blocco sempre quando vengo fraintesa o non compresa. Ho capito negli anni che quando vivo un’emozione molto forte, specialmente quando proviene da ricordi non piacevoli, ho bisogno di fermarmi. Di raccogliere tutto quello che sto provando in quel momento in un grande cestino per poi riversarlo sul letto delle mie analisi, prima di prendere di nuovo la parola. Mi aiuta a non dire cose di cui potrei pentirmi.

Non possiamo prevedere quando le emozioni ci assaliranno. Ciò che possiamo fare è imparare a gestirle. L’ho fatta troppo facile, eh? 

Di una cosa sono certa. Le emozioni vanno vissute prima che comprese. Vanno assaporate prima che analizzate. Successivamente, quando avremo capito da dove vengono, possiamo apprezzarle per il messaggio che ci hanno recapitato.

Si, ma cosa c’entrano le emozioni con i social?

Beh, secondo me sono proprio le emozioni a guidare preferenze, conversioni ed engagement. 

Mi capita spesso di sentir dire da proprietari di attività che hanno approcciato da soli ai social: “ho usato Facebook per promuovere i miei prodotti e ha funzionato!”. 

Bello eh? Andando avanti con il discorso mi rendo conto che il “funzionamento” non è lo stesso per entrambi. Soprattutto per me! 

Investire una cifra spropositata su un post magari vi porterà tante condivisioni e soprattutto like e questo può erroneamente farvi credere di aver avuto un ritorno interessante sui social. Ma il vero ritorno su un investimento è fatto da molte più sfaccettature. Quanti di quei like sono diventati clienti? Quanto è costato quel like? E quel like soprattutto di chi è? Appartiene a qualcuno minimamente interessato alla mia attività?

Ok Fa, ma la storia delle emozioni che c’entra? Ci arrivo subito.

Non basta investire sui social per raggiungere dei risultati. Oltre ad affidarsi ad un professionista capace di rispondere alle domande che ho posto in precedenza con dei dati analitici alla mano, è necessario riuscire ad emozionare chi vi guarda. Un post è coinvolgente quando attraverso una frase, una foto o una grafica particolare riesce a generare un’emozione nella mente dei consumatori e a trasformarla in un’azione legata al vostro obiettivo.

Bombardare le persone con messaggi commerciali non vi aiuterà a raggiungere i vostri obiettivi.

Emozionatevi ed emozionate 🙂

Un portfolio clienti è per sempre.

Quanti traslochi facciamo nel corso della nostra vita? Quando provo a contare i miei non ci riesco. L’ultimo in particolare è stato quello più pesante. Non in termini di quantità ma di qualità diciamo. Sono ripartita da una serie di scelte che, con il passare del tempo, si sono rivelate poco convincenti e, una volta pagate una per una, ho preso un treno con due valige alla volta di una nuova vita. 

Strano eh? Una donna che fa un trasloco con solo due valige non si sente tutti i giorni. Quella mattina quando ho alzato il mio trolley pesava da morire. Sembrava portassi un cadavere all’interno di esso. Durante il viaggio mi sono resa conto che quello che mi stava pesando era il prezzo che ho dovuto pagare per tutte le scelte fatte nell’ultimo anno e mezzo. Un prezzo che mi ha portato via una parte di me, per sempre.

Ho ripensato al mio mentore, Napoleon Hill, e alle sue parole:

“Gli uomini  che hanno successo prendono delle decisioni tempestivamente, e le modificano, se mai lo fanno, con molta lentezza. Gli uomini che falliscono prendono delle decisioni, se mai le prendono, molto lentamente, e le cambiano di frequente e con rapidità. Indecisione e procrastinazione sono fratelli gemelli. Dove trovi l’una, di solito puoi trovare anche l’altra. Uccidi questa coppia prima che ti incaprettino completamente alla ruota del fallimento.”

Alla fine io avevo scelto tempestivamente e, nel tempo, avevo modificato queste scelte per arrivare a nuove conclusioni. Non avevo fallito. Stavo solo riformulando la mia vita. Sorridendo arrivai a destinazione, la valigia pesavo molto meno. Infatti al suo interno non trovai più il “cadavere” ma solo i miei abiti.

Fa ma tutto questo cosa c’entra con il web marketing?

Questo aneddoto mi ha fatto pensare a ciò che spesso mi è capitato sul lavoro. Alcune aziende, agenzie o privati, nonostante abbiamo un’attività aperta da anni, sono sprovvisti di una parte importante dei loro siti web: il portfolio clienti. Quando ho domandato come mai una delle risposte che ho reputato peggiori è stata “eh si lo so. Ho così tanta roba da revisionare che non saprei da dove iniziare e quindi rinvio!”.

Quanto costano le scelte che facciamo nella vita e nel lavoro? Ma soprattuto la domanda è: quanto costa stare fermi? 

Tutto ha un prezzo. Nel primo caso è un prezzo che alla fine paghiamo volentieri perché lo abbiamo deciso noi. Nel secondo caso, quando restiamo fermi, spianiamo la strada alle scelte altrui. I competitors vanno avanti, ci superano nelle vendite, nelle idee e nella conquista di un posizionamento strategico sul mercato migliore del nostro. Tutto ciò comporta inoltre frustrazione e negatività.

Un mio amico imprenditore in questi giorni mi ha detto: “tutte le aziende, grandi o piccole, hanno dei punti di debolezza” – verissimo – “c’è sempre qualcosa che funziona meno di un’altra”. 

La mossa vincente è iniziare a decidere. Senza paura. Basta un’analisi di un’ora al giorno con noi stessi, con i nostri dipendenti, con i nostri collaboratori per fare chiarezza su come migliorare la propria attività.

Decidere è meglio che restare fermi, nel lavoro e nella vita.

A proposito, quella parte di me che ho perso tra le scelte fatte, è stata la cosa migliore che potessi perdere.

Ve lo aspettavate eh? 🙃

Fabrizia